Il dolore, sintomo e risorsa Prospettive a confronto
Supervisore:
Dr.ssa Vincenza Alfano – Psichiatra e Neurologo
Coordinatore: Dr.ssa Annamaria Ascione – Psicologo
Ricercatori:
Dr. Francesco Marino – Psicologo
Dr.ssa Anna Adolescente – Psicologo
Dr.ssa Carmela Guerriero – Psicologo
Dr.ssa Carmen La Mura – Psicologo
Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata con (o descritta in termini di) un danno tissutale potenziale o reale (Merskey, IASP, 1979). Le dimensioni sono quindi multiple, ma non le modalità per classificare il dolore che si basano su criteri eziopatogenetici e su criteri temporali. Nell’approccio clinico di uno psicologo si utilizzano soprattutto questi ultimi parametri in tre macro tipologie: acuto, cronico, totale.
Il dolore si compone inoltre di quattro elementi:
1) Nocicezione (rilevamento biologico di un danno tissutale da parte dei recettori e trasmissione di tali informazioni al SNC);
2) Dolore (percezione e interpretazione umana psicologica di suddetto input biologico);
3) Sofferenza (risposta esclusivamente psicologica negativa al dolore o ad altri eventi emotivi);
4) Comportamento di reazione al dolore (ciò che viene rilevato da/ riferito a un osservatore esterno al dolore).
Soggettivazione del dolore
Manuale diagnostico psicodinamico,
II versione (PDM-2)
Le personalità somatizzanti mostrano Alessitimia (incapacità di esprimere verbalmente le proprie emozioni), Pensiero operatorio (poca fantasia, investimento più sulle cose che sulla immaginazione), Senso di sé fragile (debolezza, impotenza, sentirsi alla mercé di forze fuori dal loro controllo, non ascoltati); Tendenza a concettualizzare e comunicare il disagio psichico in termini esclusivamente di sintomi fisici e di ricercare aiuto medico per questi; Stati fisiologici equivalenti dell’ansia (battito cardiaco accelerato, aumento della pressione arteriosa, tensione muscolare); Difficoltà a sperimentare relazioni profonde se sono sempre preoccupati per il corpo, bisognosi di rassicurazioni, isolati, distaccati: avviene spesso in loro una riedizione nel contatto con i medici, attraverso i sintomi, di un qualche fallimento dell’attaccamento in età infantile.
Funzionalismo
Il Neo Funzionalismo è un’area di pensiero che considera la persona come un’unità inscindibile corpo-mente, e guarda ai funzionamenti degli esseri umani più che ai soli livelli del comportamento, atteggiamenti, pensieri e emozioni. Si tratta di un olismo non generico e vago, ma fondato su elementi che costituiscono l’organismo umano. Le due concezioni fondamentali del Neo Funzionalismo sono:
* Le Funzioni: componenti del Sé integrate sin dalla nascita, onnipresenti in tutte nelle varie situazioni ma con connotazioni differenti, con livelli differenti fra due polarità rispetto a cui le Funzioni possono variare. Il Sé è allora l’insieme organizzato di Funzioni integrate, e guarda sia all’insieme che al dettaglio. Le Funzioni legate al dolore sono: le disfunzioni nelle soglie percettive, aumento del tono muscolare, aumento (fatica per il dolore) o trattenimento (diminuire il dolore) del Respiro, fantasie negative nel Razionale, Preoccupazione, Paura, Simpaticotonia (attivazione del neurovegetativo),contrazione della Postura (per contenere il dolore), aumento di Citochine e Interleuchine (risposta a danni tissutali), del Cortisolo e Adrenalina (in risposta a stressor), del GABA.
* Le Esperienze di Base: esperienze fondamentali nella età evolutiva del bambino e che, una volta consolidate, diventano Funzionamenti di fondo, alla radice di comportamenti, emozioni, pensieri, atteggiamenti. Esperienze di base legate al dolore sono la necessità di Protezione, Darsi, Autoconsolarsi, Necessità dell’altro, aumento o perdita di Controllo, Esser Visti, Ascoltati, Capiti, Aiutati, Sentirsi, Percepire, diminuita Consistenza (sicurezza di cosa fare o meno), bisogno di Forza aperta (respingere il dolore).
Oggettivazione del dolore
Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5)
La principale diagnosi di questa classe diagnostica dà rilievo a una diagnosi posta in base a sintomi e segni positivi (sintomi somatici che procurano disagio accompagnati da pensieri, sentimenti e comportamenti anomali, e comportamenti adottati in risposta a tali sintomi).
Una caratteristica distintiva di molti individui con disturbo da sintomi somatici non sono i sintomi somatici in quanto tali, ma piuttosto il modo in cui gli individui li presentano e li interpretano. Includere la componente affettiva, cognitiva e comportamentale fra i criteri relativi al disturbo da sintomi somatici offre l’opportunità di una disamina più completa e accurata del reale quadro clinico, rispetto a quanto avviene valutando solo i sintomi fisici.
La Matrice del dolore
In un’ottica neuroscientifica, il dolore possiede una dimensione sensoriale e discriminativa (intensità del dolore, dove è collocato, la sua cronicità) e dimensione affettivo-motivazionale (sofferenza e spiacevolezza dello stimolo nocicettivo) (Melzack & Casey, 1968; Price et al.,1987; Fernandez & Turk, 1992). Ciò si riassume nel complesso circuito della Pain Matrix, coinvolta nell’esperienza del dolore (Ingvar, 1999; Peyron et al., 2000; Derbyshire, 2002; Rainville, 2002). Diversi tipi di esperienza dolorosa (e.g. iniezione, provare un dolore “fantasma”, senso di abbandono) sono mappati e codificati specificamente in modi differenti dalla Pain Matrix.
Tre luoghi-simbolo del corpo
In psicodinamica, Bion (1962) parla di come la capacità di “pensare i pensieri” permetta di rendere le emozioni come “digeste”, “filtrate”, comprensibili poiché in grado di creare immagini che siano ricordi, i quali sono a loro volta necessari per poter conoscere tanto il piacere quanto il dolore. Ciò non accade se le esperienze immediate sono gravate da paura non elaborata e non disposta a essere conosciuta; in quel caso rimangono esperienze vive come corpi estranei, non “nostre”, e che troveranno modo di esprimersi come dolore “conosciuto ma non pensato” (Bollas, 1987), evacuato nel soma e perciò nel vuoto, in un corpo che accusa il colpo del dolore allo stato grezzo stesso.
Parallelamente, nel Funzionalismo i sintomi sono molto spesso tentativi dell’organismo di recuperare Funzionamenti e Esperienze di Base, ma in modo improvviso, brusco, inadatto, dal momento che i Funzionamenti di fondo sono alterati e le Funzioni notevolmente sconnesse tra di loro. Ciò rende i sintomi sgradevoli, dolorosi e, in definitiva, negativi per la persona. Non esistono malattie solo psichiche o solo fisiche, ma disfunzionamenti che sono sempre dell’intero Sé, sempre psicocorporei (L. Rispoli, 1993, 2004, 2014). Carenze e alterazioni dei Funzionamenti di fondo non solo producono squilibri, problemi e difficoltà nella vita, ma sono anche alla base di malattie fisiche e psichiche. Quello che si ammala non è il solo corpo o l’organo o solo la mente, ma è l’intero organismo (L. Rispoli, 2014).
Il dolore è la vera malattia, o quantomeno lo è il modo in cui esso viene gestito.
In ragione di ciò, riportiamo come esempi tre luoghi-simbolo del corpo, dove il dolore assume in psicosomatica differenti connotazioni (Dizionario di psicosomatica, R. Morelli. 2007, Riza, Milano).
Cervello in psicosomatica
Il cervello è il centro di comando di tutte le attività motorie, sensitive, viscerali, nonché sede delle attività psicoemotive e di pensiero.
Rappresenta simbolicamente nascita e rigenerazione di continua coscienza, intesa come energia intelligente; parliamo quindi, di un cervello “che sa”, che è centro di noi stessi e del mondo che ci circonda. Seguendo un’altra metafora, esso può essere visto come un seme che germoglia sino a trasformarsi in pianta. In questo caso il cervello-seme sarebbe ciò che dà origine e forma al corpo-pianta; questa analogia tra seme/cervello e pianta/corpo, ci consente di comprendere come non esista una reale differenza tra la mente e il corpo e che rappresentano un’inseparabile realtà. Ecco allora che ognuno di noi ha la possibilità e la capacità di rispettare la natura del proprio “seme”, farlo maturare e di conseguenza essere veramente se stessi.
A complicare le cose però, vi è la comparsa di una patologia assai diffusa, la cefalea, la quale è un dolore localizzato al capo che può avere diverse cause: vascolari, biochimiche (ormonali, alimentari e da stress), genetiche, osteomuscolari e psicoemotive.
Simbolicamente la cefalea viene letta come un “ingorgo di pensieri” e i principali sintomi parlano chiaro: sentirsi la testa pesante indica sovraccarico di pensieri e di preoccupazioni; un dolore pulsante segnala contenuti inconsci e istintuali che bussano alla coscienza; le fitte rappresentano una sorta di “pianto del cervello”, che non riesce a liberarsi della eccessiva razionalità.
Chi ne soffre con frequenza rivela che il proprio modo di muoversi nel mondo è basato principalmente su un approccio razionale: chi si difende dalle emozioni e dai sentimenti percepiti come destabilizzanti, cerca di risolvere il problema sempre e solo con la logica. In realtà il cefalalgico è tutt’altro che un freddo razionale, anzi: è proprio la sua natura molto emotiva e passionale che lo ha portato, nell’adolescenza, a sviluppare la razionalità come modalità principale per difendersene. Inoltre, ogni cefalea ha le sue radici nel carattere dell’individuo che ne soffre. Esistono però alcune tipologie di personalità più a rischio: in particolar modo, quelli che “non staccano mai”, e/o persone troppo perfezioniste, formali, rigide, con un eccesso di altruismo e con rancori inespressi. Se dunque, soffriamo di cefalea, una quota di guarigione può essere attinta da un cambiamento nel modo di “usare la testa”. Molti farmaci (e altri rimedi) non funzionano (o poco) perché agiscono su persone la cui mente produce gli stessi pensieri e ragionamenti di sempre, affrontando ciò che accade come al solito.
Cute in psicosomatica
La cute è l’organo di rivestimento del corpo, svolge diverse funzioni, costituisce, con il tatto, uno dei primi mezzi attraverso il quale i bambini conoscono il mondo esterno e, mediante le fibre nervose sensoriali, permette all’individuo di avvertire il dolore. La cute rappresenta quello che Bionianamente potremmo definire il contenitore, simbolicamente il confine che delimita il Me dal Non Me; non a caso Winnicott (1965) aveva parlato della funzione di Handling (manipolazione) svolta dalla madre per permettere al bambino, tra le altre cose, di sperimentare i suoi confini, di conoscersi e riconoscersi come un essere distinto e delimitato. La pelle è, quindi, anche una barriera di separazione che difende e allo stesso tempo, un diario sul quale scriviamo la nostra storia, e con il quale esprimiamo il nostro essere e la nostra unicità: attraverso il rossore, il pallore, la sudorazione, gli odori. Pertanto una patologia che colpisce la pelle esprime delle problematiche a livello relazionale, comunicativo e espressivo.
La psoriasi è una delle malattie della pelle più diffuse nella popolazione italiana; cronica e recidivante, si manifesta con placche secche e delimitate, di forma e dimensioni variabili ricoperte da squame grigiastre, sotto le quali è presente un eritema la cui intensità dipende dalla fase acuta o quiescente della malattia, e peggiora in condizioni di stress. Solitamente si accompagna ad un intenso prurito che, però, in seguito all’atto del grattare, si trasforma in dolore. Simbolicamente l’inspessimento della pelle rappresenta una corazza che limita in parte o del tutto gli scambi (emotivi) con l’esterno, niente può entrare e niente può uscire. A questo aspetto si aggiunge l’intenso e costante prurito avvertito da chi soffre di questa malattia: c’è qualcosa sulla cute che è sentito come un eccesso, simbolicamente una spinta pulsionale che non può essere ignorata dal soggetto e che porta inevitabilmente a grattarsi. Questo atto di soddisfazione del bisogno che determina una sensazione di sollievo è, pertanto connesso al principio del piacere (Freud, 1920). C’è perciò una “presenza fastidiosa” che deve essere eliminata, tale eliminazione comporta però, oltre che una iniziale sensazione di sollievo, anche un inevitabile dolore dovuto all’eritema che brucia.
Ricapitolando il simbolico percorso nella patologia della pelle: niente entra e niente esce grazie alla corazza (la psoriasi) del soggetto, niente è veramente sentito e quando questa eventualità si presenta prepotentemente (la pulsione – prurito) alla sua soddisfazione ne consegue solo una momentanea sensazione di sollievo (appagamento – piacere) che lascia subito il posto al dolore e quindi anche al senso di colpa legato al cedimento (l’atto del grattarsi).
Reni in psicosomatica
L’apparato urinario è un insieme di organi deputati alla produzione, raccolta ed espulsione dell’urina. Come nutrirsi e defecare, urinare aiuta il bambino a liberarsi di tensioni interne e soddisfare un bisogno psichico oltre che fisico (Freud, 1905). E’ una dimensione strettamente legata al piacere, tale che, se viene ostacolato e trattenuto, assume in tale apparato il valore di un blocco sotterraneo, nascondiglio di impulsi aggressivi e sessuali.
Appartenente all’apparato urinario, il rene è un organo doppio, deputato a filtrare il sangue, mantenere la concentrazione del potassio, eliminare le scorie del metabolismo e l’eccesso di acqua in forma d’urina. Simbolicamente, dall’antichità fino all’attuale medicina psicosomatica, i reni sono un anfratto, un “porto sepolto” che richiama a remoti luoghi sorgivi delle acque primordiali, luogo di origine carica di energie profonde. Il rene esprime una volontà inconscia, dinamica, notturna, femminile, ricco di sensualità, di forza inimmaginabile e in perpetuo movimento. La fluidità dell’urina (acqua) e del sangue pompato dal cuore (fuoco) con cui il rene interagisce diviene simbolo di continua rigenerazione dell’organismo, permettendo di esprimere il passato, ciò che non c’è più, ciò che continuamente muore in noi e si rigenera.
In tale discorso, i calcoli renali sono masse di consistenza dura e pietrosa che possono esprimersi da fenomeni asintomatici sino alla tipica colica renale (chi l’ha provata paragona quest’ultimo dolore a una ferita inferta da un’arma, e seconda solo al parto). I calcoli renali divengono espressione di resistenze inconsce al cambiamento, alla trasformazione e/o ad un attaccamento al passato, che rischia di compromettere il presente e il futuro; non è raro riscontrare in tali pazienti un’intensa angoscia di morte. Se pensiamo a un corso d’acqua come simbolo di vita, scopriamo che il rene, nel suo fluire ininterrotto, dovrebbe rappresentare l’accettazione del tempo presente come quello della morte, e lascia fluire le emozioni in esso. Invece, nella calcolosi renale, è assente proprio la capacità di liberarsi del passato (le scorie, il residuo) tramite il filtraggio renale, ripercuotendosi sul presente: la realtà è letta con fermezza e rigidità; l’attesa diventa interventismo; la pazienza diviene sopportazione. Il calcolo renale, questo cuore e nucleo di pietra, è uno scoglio che si incaglia in mezzo al fiume sepolto e scorrevole della vita. Tanti scogli piccoli che diventano troppi esprimono l’incapacità di far fluire il passato e distinguerlo dal presente, distinguere ciò che ci è utile e ciò che non ci serve più. Il dolore renale trova allora un significato nella rigidità emozionale e nella incapacità di sganciarsi dal passato.
Conclusioni
Come evinto, in psicosomatica il sintomo sottende a una incapacità di “pensare i pensieri”, di riconoscere e esprimere le emozioni, di rendere “funzionale” l’esperienza vissuta: incapacità che assume diverse simbolizzazioni in diverse parti del corpo-mente. Il dolore diviene allora organizzatore di sintomi e Sintomo stesso quando “non compreso”, vuoto, privo di significato. Al contrario, il dolore può essere letto e divenire una Risorsa poiché forza l’individuo e lo proietta oltre se stesso e i suoi confini; il dolore gli rivela ovvero delle risorse di cui ignorava l’esistenza, distruggendo e ricostruendo la sua identità. Non gli lascia scelta se non dare alla sofferenza la possibilità di essere o una sventura in cui si perde interamente, in cui la sua dignità viene inghiottita (sintomo), o, inversamente, un’occasione che porta alla luce nell’individuo un’altra dimensione: quella dell’uomo che soffre, o che ha sofferto, ma che guarda il mondo con gli occhi aperti (risorsa) (Le Breton, 2007).
“Il difficile è non lasciarsi abbattere dai momenti brutti. Devi considerarli un dono, un dono crudele, ma pur sempre un dono”, “ Sii forte e paziente, un giorno questo dolore ti sarà utile” (Peter Cameron, 2007).